Critica
Un po' Sister Act e un po' Calendar Girls, Beate è una piacevole sorpresa, innanzitutto perché è scritta con garbo e attenzione alle specifiche di una crisi che colpisce sia le aziende che i lavoratori, ma che diventa anche il modo con cui certi imprenditori senza scrupoli possono approfittarsi della situazione.
Amad Zarmandili, alla sua prima regia di un lungometraggio di finzione dopo molta esperienza come aiuto regista di Aureliano Amadei, Alessandro Piva e Salvatore Maira (coautore della sceneggiatura con Antonio Cecchi e Gianni Gatti), nonché della serie tv Squadra antimafia, ha una bella agilità di ripresa e un ottimo ritmo di commedia.
E il cast è di qualità, da Donatella Finocchiaro nei panni di Armida a Maria Roveran in quelli della giovane suor Caterina. Le punte di diamante restano Lucia Sardo, la spassosa suor Restituta, e Paolo Pierobon nel ruolo di Loris, l'amante di Armida nonché ex dipendente della ditta Veronica: Pierobon è una delle eccellenze del teatro italiano contemporaneo, sarebbe ora che anche il cinema gli desse lo spazio che si merita.
Beate ha solo il difetto di ingarbugliarsi nel terzo atto, scegliendo un finale che contraddice la valenza sociopolitica dimostrata fino a quel momento. Non c'è bisogno di miracoli, laici o cristiani, per risolvere certe situazioni: ci vuole un'adeguata riappropriazione dei mezzi di produzione, come hanno suggerito alcuni pensatori del passato, ancorché espressa in forma comica. Molto efficace invece l'intuizione di unire suore e operaie per cercare una nuova giustizia sociale: e il fatto che questa unione sia tutta al femminile, con l'aggiunta di supporter maschili come Loris, è un bel segno dei tempi.
Beate è una commedia arguta che non dimentica la situazione economica reale e innalza un'ode alla capacità femminile di risollevarsi, meglio se con un po' di aiuto da parte dell'altra metà del cielo.
Paola Casella, Mymovies.it, 28 agosto 2018
Dopo aver diretto dei cortometraggi alcuni episodi della fiction Squadra Antimafia, Samad Zarmandili si cimenta dietro la macchina da presa per un prodotto cinematografico. Il regista 44enne confeziona un delizioso film, leggero (forse troppo) e ironico, che tra battute e gag scoperchia una triste realtà lavorativa attuale. Nel film, la crisi colpisce una fabbrica di intimo, ma al suo posto potrebbe esserci anche una grossa azienda o una piccola compagnia. Beate è la storia di questo gruppo di donne che non si arrende di fronte la cassa integrazione. Fanno dei mercatini, ricevono tante critiche, ma alla fine riescono a metter su un business che funziona, a dispetto di chi le dava per vinte.
Armida, interpretata da un’intrepida Donatella Finocchiaro, è il vero personaggio motrice del film. È lei a spingere le sue colleghe a rimettersi in carreggiata e, successivamente, a convincere la zia monaca, che possono rimboccarsi le maniche. Armida ha anche una storia personale; è la classica donna e madre single – sua figlia è un’adolescente, il padre non viene mai menzionato nel film – che non ha marito. Ha una malformazione al piede che le crea difficoltà a camminare. È legata, però, a Loris (interpretato da Paolo Pierobon), il magazziniere della Veronica, la fabbrica dove lavorava all’inizio del film. È un uomo persuasivo e con i suoi modi di fare riesce ad affascinare il gentil sesso. Le suore sono spassose, a cominciare dalla giovane Caterina, sostituta della Madre Superiora, interpretata da Maria Roveran. Il ritmo della narrazione e la musica contribuiscono a rendere il tutto un film godibile e di intrattenimento: sono rari i momenti in cui ci si annoia. La fotografia contribuisce a dare maggior visibilità alla pellicola e permette di entrare nel vivo della loro storia, raccontando la realtà di un piccolo paese.
Beate: un elogio alla solidarietà femminile
C’è una piccola pecca nel film di Samad Zarmandili e risiede nei personaggi. Gestirne troppi comporta, infatti, qualche mancanza. Alcune storie non sono approfondite a dovere, soprattutto quelle delle compagne di Armida, su cui ovviamente la storia si concentra maggiormente. Le suore fungono quasi da supporto alla storia e non riescono ad emergere di fronte alla protagonista che regge l’intera pellicola. Ed è qui che si evidenziano alcune debolezze nella sceneggiatura e il film subisce qualche intoppo. Si premiano, però, i duetti sfavillanti e incalzanti tra il personaggio della Finocchiaro e la zia suora, interpretata da Lucia Sardo. Quest’ultima punzecchia la nipote sul suo stato famigliare di donna e madre single, così emergono pregiudizi che le dividono, ma allo stesso tempo servono a rafforzare il loro rapporto.
Al di là dei difetti, quasi innocui, Beate scorre senza intoppi e regala una storia dove viene premiata la solidarietà femminile, in un mondo, soprattutto quello del lavoro, in cui convivono gelosie, ipocrisie e false amicizie tra colleghe.
Verdiana Paolucci, Cinematographe.it, 1 settembre 2018