Critica
Il "professore", James Murray, non aveva una laurea, era figlio di un sarto e autodidatta. Il "pazzo" era un uomo di cultura, medico chirurgo, traumatizzato dagli orrori della guerra e dal più accanito dei nemici: se stesso, il suo senso di colpa.
L'uno era scozzese, l'altro americano. Più simili, cioè, di quanto si potesse immaginare, accomunati dall'estraneità alla convenzione, e poi, dopo anni di scambio epistolare, legati tra loro, esattamente come sono legate tra loro le entrate di un dizionario. Non a caso, i loro primi incontri, nel film, sono raccontati attraverso un dialogo singolare, un gioco di lemmi, che è sfoggio di passione e erudizione, e riesce, insieme alle scene quotidiane di lavoro nello scriptorium di Murray, nella sfida più intrepida, quella che dà carattere al film e al libro di partenza prima di lui: rendere appassionante il mestiere del lessicografo.
Anziché guardare solo al passato, così facendo, Il professore e il pazzo incarna un paradigma narrativo, uno di quelli che al cinema funzionano meglio di tutti: la devozione di un uomo ad un'impresa abissalmente più grande di lui, mai concepita prima, "pazza" furiosa come Minor (il linguaggio del film lo dice con le ripetute incursioni della carrozza del professore oltre le porte del manicomio), ma luminosa come un sogno.
Non stupisce che sia nata da Mel Gibson la richiesta di adattamento del libro del giornalista Simon Winchester: l'attore, per il tramite del suo personaggio, insiste sulla fede religiosa di Murray, sottolinea come miracoloso l'incontro con Minor, e trasforma la tragica vicenda umana di quest'ultimo in una storia di redenzione. P. B. Shemran, dal canto suo, applica a questa visione una struttura cinematografica ultra classica e restaurativa, che nella seconda parte del film non riesce ad evitare le lusinghe del didascalismo e del patetico (e Sean Penn in questo senso ci mette del suo, con una performance altalenante).
Il professore e il pazzo, in fondo, è dunque un film di costumi e scenografie, di personaggi secondari spesso unidimensionali (eccezion fatta per il Mr Muncie di Eddie Marsan), il cui "vocabolario" registico non comprende voci particolarmente originali, ma racconta una storia (vera) così bella che è impossibile non farsi entusiasmare da essa e dai suoi tanti risvolti.
Marianna Cappi, Mymovies.it, 13 marzo 2019
La storia del professor Murray e di questa incredibile amicizia è stata raccontata nel 1998 nel libro “Il professore e il pazzo” di Simon Winchester, di cui Mel Gibson, restandone molto colpito, acquistò i diritti all'epoca e che vent'anni dopo arriva sullo schermo, quando l'attore ha l'età (e la barba) giusta per interpretare il ruolo. A dirigere il film con uno stile moderno (con ampio uso della camera a spalla) che ce lo rende più vicino e contemporaneo, è P.B. Shemran, ovvero Farhad Safinia, sceneggiatore e produttore di origine iraniana che ha collaborato con l'attore in Apocalypto (e non è accreditato col suo vero nome dopo la lunga vertenza legale intentata da Mel Gibson alla Voltage Pictures, e persa dall'attore).
Non era affatto facile rendere cinematografica una storia che ha per protagoniste le parole e l'uso che ne facciamo, ma gli autori riescono nell'impresa, pur con qualche (in)evitabile concessione al melodramma. E' vero – purtroppo – che il dottor Minor, preda della sua follia, a un certo punto compì su se stesso un orribile atto di mutilazione, ma la causa non fu l'amore colpevole e il desiderio per la donna che aveva reso vedova (e che, questo è vero, andava a trovarlo in manicomio, portandogli dei libri), quanto piuttosto gli incubi in cui credeva di essere rapito e costretto a violentare dei bambini. Così come sembra che non fosse la sua esperienza in guerra a causargli le allucinazioni che lo tormentavano, quanto piuttosto la frequentazione assidua dei bassifondi e dei bordelli. Ma il cinema ha le sue ragioni e queste sono variazioni di poco conto in una storia che è, essenzialmente, vera, per quanto incredibile possa sembrare (e chissà come sarebbe stato il film se Gibson avesse ottenuto il final cut che desiderava).
Al di là di una notevole perdita di ritmo proprio nel finale, risolto un po' maldestramente, Il professore e il pazzo riesce comunque, e sorprendentemente, a coinvolgerci nella storia di un novello amanuense che per compiere la sua impresa si fa costruire un vero e proprio scriptorium, dove lavora coi suoi collaboratori facendo uso di penna, carta, e memoria: una distesa di foglietti e note che fa immediatamente pensare a quanto l'invenzione del computer ci abbia semplificato la vita e a come la storia della letteratura e del linguaggio sia arrivata fino a noi attraverso l'opera geniale di intellettuali la cui fissazione per queste materie rasentava la follia (e il professor Murray ricorda, in questo, un altro celebre docente di Oxford, John R.R. Tolkien), che dedicavano la loro vita a questo lavoro, al tempo stesso crescendo una famiglia e combattendo con le invidie e i nemici accademici.
Ma se dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna, all'epoca questa era una complice paziente che si prendeva cura della casa e dei figli e sosteneva le ambizioni del marito a costo di grandi sacrifici: è questo il ruolo di Ada Murray (Jennifer Ehle) nel film (ed è facile intuire che a lei vada la totale simpatia di Gibson, padre di numerosi figli e notoriamente cattolico e conservatore), mentre Natalie Dormer nei panni della vedova Merrett è una donna povera ma intelligente, che la conoscenza dell'assassino del marito riuscirà a migliorare. Il ruolo del professore (a chi vedrà il film in lingua originale) permette a Mel Gibson di rispolverare il suo accento scozzese, 24 anni dopo Braveheart, e calza a pennello all'ex sex symbol degli anni Ottanta e Novanta nella sua nuova e corpulenta incarnazione, dopo la sua redenzione dagli eccessi passati.
Discorso a parte merita Sean Penn, due volte premio Oscar, che mancava dagli schermi da 4 anni e da assai più tempo in un corposo ruolo drammatico. Qua in alcuni momenti la sua performance ricorda quella di Dead Man Walking, la somiglianza col personaggio a cui dà vita è impressionante e la sua capacità di trasformarsi, lo sguardo febbrile degli occhi azzurri, il tormento del corpo e dell'anima che riesce ad esprimere lo confermano il grandissimo interprete che conosciamo e che per un po' abbiamo perso di vista.
Di produzione irlandese, Il professore e il matto può contare su alcuni dei migliori attori britannici, che danno il loro sostanzioso apporto al film: soprattutto Eddie Marsan, bravissimo nel ruolo del compassionevole Muncie e Steve Coogan in quello dell'alleato di Murray. Nonostante le tribolazioni affrontate dal film, il risultato è migliore di quello che ci si sarebbe potuti aspettare e più che altro fa un certo (e bell') effetto vedere uno di fronte all'altro questi due cattivi ragazzi di Hollywood, Mel Gibson e Sean Penn, attori – e registi – molto diversi ma accomunati dalla stessa passione e follia, improbabili amici qui alleati in un progetto ambizioso sull'importanza delle parole, proprio come i loro personaggi sullo schermo. A nostro avviso basterebbe anche solo questo, per ritenere il film meritevole di una visione.
Daniela Catelli, Comingsoon.it, 13 marzo 2019