Critica
Quella di Romain Gary e di sua madre è la storia di un amour fou, incondizionato, fusionale che lo scrittore raccontò in uno dei suoi romanzi più belli e più celebri.
Uscito nel 1960 "La promessa dell'alba" è il ritratto di una donna pugnace, il racconto di un figlio letteralmente posseduto dalla madre e di una traiettoria epica che Éric Barbier restituisce con foga ed energia. La principale qualità del suo film è di aver colto il carattere 'senza sosta' di una donna bigger than life, lo slancio romanzesco che la guidava e che applicava al quotidiano, immaginando in grande il futuro del suo bambino.
La madre di Romain Gary aveva il senso della messa in scena e ne aveva fatto il motore della sua rocambolesca esistenza, spesa tra la Polonia e la Francia. A incarnarla sullo schermo è Charlotte Gainsbourg, mai così estroversa, che dispiega una forza fino ad oggi inesplorata e trova un ancoraggio al suolo e a un ruolo che invade letteralmente il film e la vita di un figlio che non lascia respirare un secondo. Silhouette solida e veemente a cui presta la replica il Romain Gary di Pierre Niney, che fatica a trovare una maniera coerente di interpretare il suo personaggio, divorato dall'amore di una madre che lo forza a diventare quello che aveva deciso che sarebbe stato. Ma quando lo trova, lontano da lei e nell'ospedale da campo dove affronta la febbre tifoide, il risultato è impressionante, una performance fragile e intensa, epica e intima che non trascura lo humour.
Accademico e illuminato da una luce aurea e passatista, La promessa dell'alba diluisce la passione divorante di una madre per un figlio in una serie di episodi, qualche volta bizzarri che sembrano esistere soltanto per provare il coraggio del protagonista e placare le attese materne. Pescando nella materia autobiografica, un amore debordante che aveva immaginato per il figlio le carriere le più folli, Babier traduce per lo schermo la storia di un uomo che ha deciso di fare della sua vita un'opera d'arte, rendendo giustizia a chi lo ha tanto amato.
Romain Gary diventerà davvero ambasciatore e scrittore, un autore dallo stile limpido, che scriverà un'ode a sua madre, ripercorrendo la loro relazione e poi i suoi amori, gli amici, la Resistenza, la guerra, la lotta per la giustizia e un mondo migliore. Un libro sulla solitudine dell'uomo davanti al proprio destino, sulla bellezza debordante della vita che l'autore 'siglerà' con una Smith & Wesson. Ma prima ci sarebbero stati gli aerei, le ambasciate, i premi letterari e le donne più belle. La promessa dell'alba è quella di un destino degno del grande schermo. Quarantotto anni dopo la versione di Jules Dassin (Promessa all'alba) sotto i bombardamenti e le scenografie opulente, Éric Barbier firma la sua, un onesto divertissement che non cerca sorprese estetiche e offre l'occasione allo spettatore di ritornare a leggere i romanzi di un ragazzo spinto troppo presto a farsi uomo virile ed eroico da una mamma accecata dall'amore per la sua creatura.
E La promessa dell'alba non dimentica mai di essere una storia raccontata da un mitomane, lui stesso sottomesso ai sogni stravaganti della madre. La forza emozionale del film deve tutto alle pagine di Gary, al lavoro degli attori e a un epilogo in cui il reale rivendica il suo posto e subentra accorato all'immaginazione.
Marzia Gandolfi, Mymovies.it, 29 ottobre 2018
Sullo sfondo di un’Europa che si avvia verso la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, Barbier riprende quella che è una vicenda (vera) di formazione e ne fa un’opera epica e picaresca: Romain compie un viaggio molto lungo, geografico e allo stesso tempo evolutivo, che dalla Polonia lo porterà nell’assolata Nizza, dalla vivace Parigi alla resistente Londra fino poi all’Africa più spietata. Un itinerario a tappe che corrisponde alle varie fasi della sua esistenza e che, nel suo dispiegarsi di fronte agli occhi dello spettatore, svolge per l’autore/protagonista una funzione quasi terapeutica.
Il suo processo di maturazione, che da bambino lo vede trasformarsi in giovane uomo, ha però un’eterna costante: la presenza materna, così ingombrante da diventare assoluta, così persistente da essere indispensabile. Il rapporto tra Romain e Nina è il vero protagonista della storia: un amore profondo e reciproco, costellato di richieste, preghiere e lettere, una relazione che va ben oltre il tradizionale rapporto madre-figlio. Senza sfociare in una dimensione incestuosa, l’affetto di Nina per Romain è totalizzante: risucchia ogni sua energia, si pone al centro dei suoi pensieri e catalizza ogni sua attenzione. Agli occhi materni, lo scrittore-protagonista è perfetto e può tutto: grazie alle sue capacità, Romain può essere artista, ambasciatore, soldato ed eroe modelli. Una convinzione, questa, che rende di fatto Nina cieca di fronte alla realtà dei fatti, per lei quasi trascurabile quando non conforme all’idea che lei ha del “suo” Romain.
La forza e la caparbietà della donna sono magistralmente interpretate da una Charlotte Gainsbourg in stato di grazia: sguardo ferino e movenze vigorose, l’attrice franco-britannica domina nettamente lo schermo mettendo in ombra gli altri interpreti. Di fronte a lei, il Romain di Pierre Niney è destinato a farsi sottomettere, proprio come accade nell’universo diegetico del film: la madre-padrona lo sovrasta e quasi lo ingloba, salvo rigettarlo “migliorato” nelle scene in cui lui è protagonista, come quella, davvero notevole, in cui il ragazzo farfuglia in maniera incomprensibile, delirando in preda al tifo.
Alla descrizione di questo particolare legame madre-figlio si aggiunge un’ambientazione portata sullo schermo in maniera mirabile grazie al lavoro svolto da costumisti e scenografi, che hanno dovuto ricreare di volta in volta paesi di latitudini differenti popolati da diverse classe sociali.
Nel suo complesso, La promessa dell’alba è un film che riesce a tenere legato a sé lo spettatore grazie a una sceneggiatura che affronta con vivacità anche i momenti più difficili da sostenere: persino nelle sequenze più morbose, i dialoghi non indugiano mai troppo direttamente sul rapporto tra i due protagonisti, mostrandosi capaci, in questo loro non dire, di rivelare invece molto.
Lucia Mancini, Cinematographe.it, 2 Marzo 2019
Attraverso la storia di una madre tenace e combattiva, assai poco propensa alla resa, e in seguito alle vicissitudini sin avventurose (soprattutto con la parentesi delle eroiche spericolate missioni presso la forza militare dell’aviazione francese “Francia libera” di de Gaulle, che gli valse la Legion d’onore) della storia di vita di suo figlio, si dipana una vicenda familiare drammatica e concitata che, attraverso l’utilizzo di un lungo e complesso flash-back, segna la genesi del romanzo autobiografico La promesse de l’aube, più in generale la scuola di vita del celebre scrittore ed autore Gary (diverse sue opere furono trasposte al cinema – il suo stesso già citato divenne Promessa all’alba, con Melina Mercouri, per la regia di Jules Dassin nel 1970), e lui stesso fu regista di due film non molto fortunati, interpretati da quella diva che fu sua moglie, Jean Seberg).
Il film di Eric Barbier sceglie una narrazione molto classica ed una regia generosa che sa spaziare tra l’azione delle scene di battaglia aerea, alle minuziose ricostruzioni del difficile passato lituano della tenace sarta creatrice di cappelli che fu la madre del protagonista.
Certo, un regista più di polso e di carattere come Jean Pierre Jeunet avrebbe saputo dare più smalto ed originalità ad un’opera che invece inciampa spesso sui cliché del dramma storico ben costruito, ma anche poco originale e forte di una sua linfa vitale che lo renda unico ed inconfondibile rispetto alle mille altre trasposizioni biografiche già trascorse e percorse.
A dare un valido contributo alla sostanziale riuscita dell’opera, contribuisce la verve espressiva di Charlotte Gainsbourg, tenace e sofferente con la stessa credibilità e autorevolezza, come pure Pierre Niney appare perfettamente impostato nel rendere la vitalità e fisicità trasognata di un autore che ha vissuto anche vivere concretamente un’avventura di vita poi restituitaci nelle pagine della sua nutrita opera letteraria.
Alan Smithee, Filmtv.it, marzo 2019