Critica
Considerato da molti come l’uomo più pericoloso del terzo Reich, Reinhard Heydrich fu il principale artefice della “soluzione finale della questione ebraica”. Decisivo il suo ruolo nella pianificazione e nell’organizzazione dello sterminio degli ebrei in Europa tanto che nel 1941 fu nominato da Adolf Hitler governatore del Protettorato di Boemia e Moravia dove mise in atto sanguinose repressioni guadagnandosi l’appellativo de “Il boia di Praga”.
Ad interpretare quest’uomo freddo e implacabile, o meglio quest’uomo dal cuore di ferro (come da titolo), è l’attore australiano Jason Clarke che con il suo sguardo spietato e il suo viso duro ci restituisce appieno il crudele gerarca nazista. Al suo fianco la moglie Lina (l’algida Rosamund Pike, perfetta nel ruolo della moglie ariana di Heydrich) che lo introdusse all’ideologia nazista, facendolo incontrare con Himmer nelle SS, e che gli fu vicina proprio nel periodo della sua ascesa. Un’ascesa contrastata dagli uomini e dalle donne della Resistenza Cecoslovacca che con immenso coraggio cercarono di eliminarlo: il 27 maggio del 1942 a Praga la Mercedes decappottabile dove viaggiava Heydrich fu colpita da una bomba a mano. Lui cadde a terra e a seguito delle ferite riportate nell’attentato morì. Da quel momento la caccia agli attentatori da parte dei nazisti fu implacabile.
Il regista francese Cedric Jimenez (French Connection) mette in scena un film, tratto dal romanzo HHhH di Laurent Binet, che ci rammenta un episodio della nostra storia, un passato che non dobbiamo dimenticare. Ci racconta degli eroi (in primis i due paracadutisti lo slovacco Josef Gabcìk e il ceco Jan Kubis- rispettivamente interpretati da Jack Reynor e Jack O’Connell- che capitanarono l’attentato di Praga) pronti a sacrificare la propria vita pur di mettere fine alla barbarie in atto in quegli anni bui.
Ci descrive un nazista che amava la musica (aveva una passione per il violino) e un padre premuroso che insegnava pianoforte ai suoi figli ma che allo stesso tempo era capace di uccidere spietatamente e di pianificare stermini di massa degli ebrei. Lo fa in due momenti differenti. La prima parte è tutta incentrata su colui che fu poi soprannominato “Il macellaio di Praga”, la seconda parte invece si focalizza sul gruppo di combattenti della resistenza ceca e sul loro nascondiglio nella cripta di una chiesa, ultima culla della loro vita.
L’importanza dell’atto estremo di coraggio degli attentatori affiora grazie alla visione disomogenea di questo tragico momento storico. La struttura allo stesso tempo dà rilievo a un uomo che non aveva pietà per nessuno (emblematicamente la moglie, sentendolo sempre più distante, gli ricorda le sue origini e che era stata proprio lei ad avviarlo verso il nazismo, ma lui volta le spalle anche a lei). Un uomo che non guardava al passato. Viceversa questo film ci insegna a guardare il passato (un avvenimento sconosciuto alla maggior parte delle persone nonostante l’assassinio di Heydrich abbia segnato l’inizio della destabilizzazione del regime nazista) e ci invita a non girarci dall’altra parte rispetto alla nostra storia e ai nostri ideali fino alla fine.
Giulia Lucchini, Cinematografo.it, 22 gennaio 2019
Ispirato dal romanzo di Laurent Binet "HHhH" (premio Gouncourt del 2012) il film di Cédric Jimenez non si limita ad offrirci il ritratto, inedito al cinema, di colui che si guadagnò in vita, oltre a quello che dà il titolo al film e che proveniva direttamente da Hitler, anche altri appellativi.
Si va infatti dal più generico "Il Boia" a "Il Macellaio di Praga", "La Bestia Bionda", "Il Genio del Male di Himmler" fino al più paramitologico "Giovane Dio Malvagio della Morte". Il regista fa di più: ci descrive l'ascesa a un potere assoluto di vita e di morte di un uomo mediocre e, da un certo punto in avanti, segue le vicende di coloro che decisero di mettere in gioco la propria vita per fermarne la feroce protervia. Se la saggezza popolare ci dice che dietro ad un grande uomo sta sempre una grande donna la vita di Heydrich, così come risulta dalla Storia e come il film ce la propone, ne ribalta la valenza: dietro a un uomo capace dei crimini più efferati nonché della progettazione a tavolino di uno sterminio razziale stava una donna che gli aveva consentito l'incontro con Himmler contando su una sua folgorante carriera.
Jimenez già nella sequenza di apertura ci offre le coordinate morali del protagonista. Un padre di famiglia premuroso che, lasciati i figli ai loro giochi, indossa la divisa delle SS pronto per lo sterminio quotidiano. La mai troppo citata "banalità del Male" trova in lui un esponente di spicco e Jason Clarke riesce ad offrircene una vasta gamma di sfaccettature. Un ulteriore merito dell'opera di Jimenez (che altri potrebbero invece leggere come una cesura che interrompe l'avvincente analisi della scalata al potere di un massacratore di Stato) è quello di passare poi, come già sottolineato, a seguire le attività e descrivere le psicologie di coloro che organizzarono e misero in atto l'attentato al generale delle SS.
Nel far ciò la sceneggiatura non si esime dal quesito che sempre si è posto a livello di coscienza a chi, nella Resistenza, si opponeva ai massacratori: l'atto avrebbe avuto come conseguenza una rappresaglia sui civili e ciò non poteva non essere considerato. Anche perché dalla parte avversa si sarebbe avuto buon gioco nel fare propaganda accusando dei propri massacri e decimazioni (v. il villaggio di Lidice) i 'criminali' attentatori. Si tratta di un dilemma morale che gli attentatori si pongono e a cui danno una risposta.
Ciò che poi ulteriormente invita a meditare è la fede cattolica di uno dei resistenti in un film in cui, come accadde nella realtà, una chiesa diventa teatro di scontro a fuoco. La scelta di imbracciare le armi in difesa di valori irrinunciabili da parte di chi crede a una religione il cui quinto comandamento impone di non uccidere comporta un ulteriore dilemma morale. La corona di un rosario qui ne diventa un efficace simbolo.
Giancarlo Zappoli, Mymovies.it, 16 gennaio 2019