Critica
Miglior Film al 40° Festival des Films du Monde di Montréal e pluripremiato al 18° Festival del Cinema Europeo di Lecce, The Constitution - Due insolite storie d'amore di Rajko Grlić si presenta come "una storia d'amore sull'odio". In bilico tra dramma e commedia, un film di denuncia su questioni sociali, politiche ed etniche ancora irrisolte nei Paesi dell'ex Iugoslavia. Scritto dal regista croato e il suo amico di lunga data, Ante Tomić, The Constitutionoffre uno spaccato della moderna Croazia, che non riesce a liberarsi del peso del passato, sprofondando in un'atmosfera di odio e intolleranza. Attorno a quattro persone che vivono nello stesso palazzo ma sono profondamente diverse tra loro per posizione sociale, orientamento sessuale, idee politiche e religiose, ruotano due insolite storie d'amore sul sottofondo di uno struggente violoncello.
I pregiudizi, tuttavia, sono i veri protagonisti di una società che sfoga nell'omofobia i problemi irrisolti. Rajko Grlić racconta la sofferenza del professore omosessuale che ha trascorso la sua vita fingendo di essere qualcun altro per paura di essere aggredito e deriso, e di come il dolore che l'essere umano riceve si possa tramutare in altro dolore da restituire a una società da cui ci si sente esclusi. Mai accettato neanche dal padre e abbandonato dall'unico uomo che ha davvero amato, Vjeko ritrova la serenità solo a tarda notte, quando indossa i vestiti da donna e il rossetto rosso per passeggiare nelle strade buie della città o riaffondare nella nostalgia del passato felice di fronte a vecchie foto. Il cinismo, però, rimane l'unica veste di un animo che ha tanto sofferto. Eppure il rancore che prova per il padre burbero e il disprezzo per il poliziotto serbo possono ancora lasciare spazio alla gentilezza, alla solidarietà, all'amicizia.
La storia procede per contrasti tra origini etniche, classi sociali e visioni della vita diverse, che in fondo si annullano nella rinascita di valori e sentimenti universali. Le nobili idee di una democrazia giusta, libera e tollerante, garantite dalla Costituzione, si scontrano con il reale nel dramma croato che in fondo racconta la complessità dell'essere umano.
Brillantemente interpretato da Nebojsa Glogovac (Vjeko), Ksenija Marinkovic (Maya, l'infermiera) e Dejan Acimovic (Ante, il poliziotto serbo), The Constitution denuncia l'impossibilità di scegliere la persona che si vuole essere e la vita che si vuole vivere. Rajko Grlić non ci lascia uscire, se non di notte, dalla casa dell'uomo che voleva essere donna ma che, come ciascuno, conosce, nonostante tutto, l'amore.
Francesca Ferri, Mymovies.it, 19 marzo 2018
The Constitution – Due insolite storie d’amore mette in scena le differenze sociali e le divisioni della Croazia. I precetti devono essere imparati a memoria per ottenere la cittadinanza, ma poi non vengono rispettati. Si respinge, invece di provare ad accogliere. Sembra il mantra del nostro tempo, qui aggravato dalla pesante eredità che hanno lasciato le generazioni passate. Forse è una realtà che non tutti conoscono, ma il regista Rajko Grlic, anche filosofo, con il linguaggio della commedia agrodolce la rende alla portata di tutti.
Da una parte la nazione benestante, colta, rappresentata dal professor Vjeko, un’insegnate di scuola superiore che ama gli uomini e i vestiti da donna. Dall’altra un agente di polizia serbo di nome Ante, che deve preparare un esame sulla Costituzione della Repubblica Croata (che è anche il titolo originale del film). Vjeko vive con il padre in un bell’appartamento nel centro di Zagabria con il padre invalido, ridotto a un vegetale dopo il conflitto. Una notte, viene pestato da un gruppo di ragazzi, e la sua dirimpettaia inizia a prendersi cura di lui. Lei lava i piatti, cucina, pulisce e in cambio gli chiede di aiutare il marito Ante a studiare.
All’inizio lo scontro è all’ordine del giorno, ma poi, forse anche in modo un po’ utopistico, il sole spunta tra le nuvole. The Constitution – Due insolite storie d’amore non è solo un film politico, ma anche una storia di sentimenti persi e ritrovati, di desideri e sogni che rischiano di perdersi nell’orgoglio e nel non voler fermarsi ad ascoltare o a riflettere. Il regista non va per il sottile, e alcune volte il dramma avrebbe bisogno di delicatezza, invece di battute pungenti. Ma lo spaccato è quello di un’umanità allo sbando, che si aggrappa alla sue regole per sopravvivere.
Gian Luca Pisacane, Cinematografo.it, 4 aprile 2018
The Constitution, il titolo internazionale del nuovo film di Rajko Grlic (che in Italia assume come sottotitolo Due insolite storie d’amore), perde rispetto all’originale Ustav Republike Hrvatske buona parte del senso. Certo, resta quell’ustav che sta a indicare il termine “costituzione”, ma viene meno il riferimento diretto alla Repubblica Croata. Può apparire un’elisione indolore, e probabilmente a conti fatti lo è, ma in qualche modo è un peccato che si perda il senso intimo del titolo voluto da Grlic – anche sceneggiatore insieme ad Ante Tomic. Perché l’intero senso di The Constitution ruota tutto intorno a un perno sempre più fondamentale in quest’Europa sfasciata e fascista: la distanza siderale che viene a crearsi tra gli ideali di base di una nazione e la loro (non) applicazione nella realtà quotidiana. Un discorso che è sicuramente valido in Croazia, e Grlic lo affronta senza reticenze, ma che si allarga al resto dell’Unione Europea, incastrata in un gorgo di regole finanziarie e azzannata alla gola da recrudescenze destrorse, fascismi non solo ventilati, un ritorno alla chiusura delle frontiere strumentale per trovare nuova linfa in un elettorato incattivito, spaurito, violento. Quel popolo che incontrando di notte il professore di liceo Vjeko vestito da donna lo insulta, lo rincorre, lo picchia fino a mandarlo all’ospedale. Proprio quel professor Vjeko che è un fiero nazionalista, un anticomunista convinto, ed è figlio di un ustascia ridotto a letto e senza più gambe. Un “eroe”, almeno per qualcuno – un prete, a ulteriore dimostrazione dell’acidula cattiveria di Grlic, che non ha alcuna intenzione di indorare la pillola al proprio pubblico.
Quel che è bizzarro, anche alla luce di quanto si è appena scritto, è che The Constitution in realtà è una commedia. Di più, è una commedia che dispensa anche un notevole ottimismo: il professore destrorso, omosessuale e che ama indossare abiti femminili quando non è sul luogo di lavoro, si imbatte – suo malgrado – nella coppia che abita nel seminterrato del suo palazzo (e nel quale Vjeko occupa un appartamento abnorme, gigantesco rispetto allo squallido bilocale di marito e moglie), lei infermiera croata e lui poliziotto di origine serba e con ambizioni di carriera. L’iniziale diffidenza, con i due uomini che arrivano anche a discutere in maniera animata – come può un serbo, pensa Vjeko, occupare il ruolo della forza dell’ordine e quindi dispensare giustizia ai croati? – è ovviamente destinata a mitigarsi, anche se a fatica. Per arrivare all’ovvia conclusione, perfino troppo rosea e in cui tutti i nodi vengono al pettine, Grlic sceglie la strada della dialettica: il suo film è interamente strutturato sul confronto tra un personaggio e l’altro. È attraverso il dialogo che i vari personaggi iniziano pur con tutte le lentezze del caso a mettersi in discussione, a guardarsi da un’angolazione anomala, da punti di vista che non avevano neanche preso in considerazione. In questo senso The Constitution appare quasi impeccabile: l’unica arma concreta per combattere l’insorgere dei nuovi – o vecchi – fascismi è il dialogo, la condivisione, l’accettazione delle proprie e altrui debolezze.
Forse fin troppo programmatico nella sua progressione, con alcune scelte di sceneggiatura che sembrano muoversi verso la soluzione più facile e immediata, il film di Grlic non è privo di grazia, e propone alcune soluzioni comunque interessanti. Quella più evidente, insieme al personaggio del padre di Vjeko, quasi non più umano (oltre a non avere più le gambe praticamente non parla) e che non esita a mettere le mani sul seno e sul sedere della procace vicina Maja – la sempre eccellente Ksenija Marinkovic, già ammirata in Sole alto di Dalibor Matanić, Dall’altra parte di Zrinko Ogresta, e A Good Wife di Mirjana Karanović –, riguarda l’apparizione in scena dell’uomo che sta seminando il panico nel quartiere perché inserisce pezzi di vetro nelle polpette che poi dissemina nel parco e per strada, attentando alla vita dei cani che passeggiano. Questa minaccia fantasma, resa materiale in un’inquadratura finale che dissipa le stille di ottimismo in una caustica lettura del quotidiano, quasi a svilire e disconoscere l’incedere da fiaba del resto del racconto, è anche la metafora vincente del film. È il popolo il primo nemico del popolo stesso; un popolo ignavo, che non prende più la parte e non sa difendersi neanche dall’attacco di un pazzoide armato di pezzi di vetro. Nel frattempo la costituzione, croata ma di qualsiasi nazione, resta lì, immota e intoccabile. Ma mai applicata. Vuota retorica, che il fascismo saprà facilmente riempire se non si riparte dalle basi. Dall’umano.
Raffaele Meale, Quinlan.it, 4 maggio 2018