Critica
Quando il titolo internazionale è il biglietto da visita ideale: in un loop citazionista senza fine, ecco ritornare di nuovo un trittico di personaggi che si rifà a Sergio Leone, passando per il Kim Jee-woon di Il buono il matto il cattivo.
Il film di Lee Won-tae è tutto qui, nell'accettazione di un genere in cui è stato già detto tutto, ad uso e consumo di chi è cinematograficamente vergine o è semplicemente in cerca di sano intrattenimento action. Quest'ultima tipologia di spettatore sarà appagata dall'esilità di testo e sottotesto di The Gangster, The Cop, The Devil, che racchiude i tre generi d'elezione del cinema sudcoreano - crime story, poliziesco e gangster movie - in una trinità ideale e li mette al servizio dei pugni di Ma Dong-seok, star indiscussa del film.
Emerso definitivamente, dopo tanta gavetta, con Train to Busan (era il padre di famiglia eroico), il massiccio attore divora lo schermo in ogni minuto in cui è in scena, oscurando entrambi i comprimari. Lo mette in chiaro già l'incipit, che ritrae il boss Jang mentre si esercita su un sacco da boxe, che scopriremo racchiudere un uomo; o ancora nell'epilogo, quando il nostro picchia il nemico attraverso una porta di legno. Un Bud Spencer molto più cattivo e violento, un Sylvester Stallone con più cuore e meno patriottismo.
Non a caso è proprio quest'ultimo ad aver acquistato i diritti per un remake hollywoodiano del film, in cui a vestire i panni di Jang sarà nuovamente Ma Dong-seok, un volto e un corpo destinati a essere conosciuti sempre di più nel mondo del cinema.
Tolto lo one-man show di Ma Dong-seok, però, di The Gangster, The Cop, The Devil non resta molto: situazioni vissute innumerevoli volte, guardie e ladri che si inseguono senza catturarsi mai, il consueto serial killer che risponde al più classico degli identikit - di bell'aspetto, capello semilungo, sguardo gelido e privo di umanità - cristallizzato in questo stereotipo da Memories of Murder o The Chaser in giù. Le sequenze d'azione convincono e trascinano il giusto, ma è difficile sorvolare su alcune leggerezze etiche e una colonna sonora invadente - di Jo Yeong-wook, in genere molto valido - e ai limiti dell'inopportuno. Gli archetipi sono replicati senza alcuna obiezione e il passato del cinema di genere è assunto come un sapere condiviso, senza interrogarsi mai sulla natura di queste figure e senza, quindi, che queste riescano a farsi carne.
Appassionarsi all'indagine del detective Jung o al suo istrionismo mutuato da anni di cinema di Ryoo Seung-wan, o ancora alla personalità del killer, di cui ignoriamo movente e psicologia, risulta quasi impossibile. E sembra non interessare in primis al regista Lee, che invita a godersi il puro entertainment. È indubbio che da questo punto di vista il film funzioni - non a caso è stato scelto come Midnight Screening al Festival di Cannes, appuntamento ormai monopolizzato da anni dal cinema di genere sudcoreano - ma è altrettanto vero che i suoi meriti sono il prodotto di un artigianato portato ai massimi livelli più che un'autentica espressione artistica. Grazie ai pugni di Ma Dong-seok, però, forse può bastare.
Emanuele Sacchi, Mymovies.it, 18 aprile 2019