Critica
Sinfonia di una grande città, sulle orme di Gershwin e di quel che fu Manhattan. I grattacieli di New York si vedono dalle finestre, le strade sono luoghi carichi di storia. A ogni incrocio un ricordo, un incontro. La musica di Errol Garner ci accompagna, anche se a un certo punto Timothée Chalamet si mette a cantare Everything Happens to Me di Chet Baker al pianoforte.
Per Woody Allen Un giorno di pioggia a New York è il suo “suonala ancora, Sam”. Un richiamo a una melodia senza età, a una Grande Mela nostalgica e accelerata, a un cinema classico che continua a vivere in ogni inquadratura. As Time Goes By, mentre il tempo passa. In fondo ce l’aveva già spiegato nel 1972 in Provaci ancora, Sam, sulla scia di Casablanca: l’amore spesso non ha un seguito, qualcuno spicca il volo e qualcun altro resta a terra, o magari si deve accontentare, perché “nessuno è perfetto”.
Qui Chalamet ed Elle Fanning rappresentano gli opposti che si attraggono. Lui è figlio dei cieli grigi di New York, lei del sole della campagna. Lui è colto, tormentato, lei è abbagliata dalle luci dello spettacolo, e per un attimo si lascia scappare che Kurosawa è un grande maestro europeo. L’atmosfera è sempre quella della commedia degli attici: ricchi protagonisti, suite da Le mille e una notte. E ancora una volta Allen si dimostra poeta del disincanto, cineasta che guarda a Hollywood con diffidenza, e indaga i sentimenti con l’intelligenza dei fuoriclasse. Condanna la falsità, fa ironia sui sorrisi tirati, sull’arrivismo di provincia, sui rapporti umani che nascono dal profitto.
La felicità non è mai a portata di mano, anche se questa volta prova a credere nelle favole, ribaltando il velo di tristezza che si vede negli occhi dei suoi protagonisti. Il maestro gioca con la commedia dei cuori infranti, con le ambizioni dei sognatori. Ci porta davanti al Plaza, quasi per ricordare le “follie” di A piedi nudi nel parco, ci trascina tra gli alberi di Central Park, citando e rimescolando almeno la metà dell’immaginario “romantico” d’oltreoceano.
Chiama il suo protagonista Gatsby, perché sembra appartenere a un altro secolo, quando Fitzgerald ci raccontava che una donna la si può aspettare per sempre. Sono le conseguenze della passione, messe in scena più avanti anche da Douglas Sirk, a cui Allen ha reso omaggio ne La ruota delle meraviglie. Il fascino del melodramma rapisce anche in Un giorno di pioggia a New York. Con le luci di Vittorio Storaro che accarezzano gli amanti, quasi li sorreggono nella loro fragilità.
Non una storia di coppia, ma di coppie. Che si scambiano e ruotano in una ronde senza fine, dove sembra contare solo il corpo e non i pensieri. Allen gira con la sua immortale leggerezza, punge con la sua inesauribile ironia, regalando allo spettatore un ombrello con cui ripararsi. Non solo dalla tempesta, ma dai fenomeni da copertina, da chi insegna senza sapere, da chi, invece di comprendere, condanna senza pietà.
Gian Luca Pisacane, Cinematografo.it
Nuova variazione jazz sull'immaginario newyorkese, Un giorno di pioggia a New York è una commedia ineffabile come la nascita di un sentimento. E nell'economia alleniana, una commedia succede sovente a un film risolutamente drammatico (La ruota delle meraviglie).
Come un vecchio ritornello riorchestrato, ritroviamo con piacere il 'sistema Allen', un universo (aperto) di sensazioni che conosciamo bene. Una sorta di destrezza dei sensi e delle immagini, delle idee e delle emozioni continuamente rilanciata. Al cuore del film c'è la città, intorno la pioggia, Chet Baker e F. Scott Fitzgerald. Allen invece lo riconosciamo dietro la personalità di Gatsby, studente mingherlino che ama solo i vecchi film, i locali rétro, i giorni di pioggia e George Gershwin.
Una coppia all'assalto di una metropoli a prova di tentazioni ci riconduce all'alba del cinema, a l'Aurora di Murnau. Gli amanti all'epoca ne uscivano più uniti che mai, quasi un secolo dopo, e sotto lo sguardo di Allen, sappiamo subito che le cose non saranno così facili. Niente andrà come previsto dal protagonista e tutto andrà ineluttabilmente come in un film di Woody Allen.
Un film caustico e incisivo con un senso smagliante della punchline associata al ritmo delle trovate visive. Come Philip Roth, l'autore non rinuncia a giocare il ruolo dell'ebreo mal-educato: la verità nel film esce dalla bocca delle 'puttane' e né i soldi, né la famiglia, né l'educazione offrono ripari stabili.
In un racconto accomodato tra signorini e signorine d'America, i capitali (finanziari, culturali, fisici) sono tasti fragili su una tastiera difficile, quella dei cliché che Allen suona sofisticato e fertile come nessuno. L'ebrezza che procura Un giorno di pioggia a New York è quella della deriva. Ciascuno dalla sua parte, perché non riusciranno più a raggiungersi, Gatsby e Ashleigh si lasciano afferrare dal flusso del caso. Lui inciampa su Shannon, sorella minore di una ex, lei su un divo magnetico per cui dimentica anche il suo nome. Un'urgenza e un'esigenza di verità cresce sul filo delle loro promenade. Sotto il segno inesorabile del tempo, che ha l'apparenza grottesca dell'orologio di Central Park, New York sorveglia la loro radiosa giovinezza, andando oltre la commedia romantica e dispiegando un'impressione struggente dell'effimero.
Marzia Gandolfi, Mymovies.it, 10 ottobre 2019