Critica
Il cinema di Daniele Luchetti è spesso una questione di “tempo”. L’imprenditore Numa Tempesta doveva lavorare per qualche mese in un centro di accoglienza (Io sono Tempesta), la struttura circolare (dal conclave all’elezione) di Chiamatemi Francesco – Il Papa della gente, l’incontro tra Sessantotto e “femminismo” nel 1974 di Anni felici, lo scorrere dell’esistenza in La nostra vita, gli anni Sessanta che diventano Settanta in Mio fratello è figlio unico… Avanti e indietro nei decenni, nella storia del nostro Paese, nei secondi che compongono una giornata.
Forse Woody Allen avrebbe definito Momenti di trascurabile felicità come “una commedia degli attici”, un film dove i protagonisti non hanno problemi di soldi, lavoro, e i tormenti provengono dal cuore.
Paolo muore in un incidente stradale, e finisce nell’aldilà. Qui scoprono di aver sbagliato a calcolare la sua dipartita, e lo rimandano sulla Terra per poco più di novanta minuti. L’occhio è a Powell e Pressburger, a Scala al paradiso, quando un giovane pilota dell’aviazione inglese (David Niven) portava in tribunale l’altro mondo per aver sbagliato l’ora del suo trapasso.
Qui “l’angelo della morte” è Renato Carpentieri, che nel suo archivio digitale si è dimenticato di conteggiare tutti i centrifugati allo zenzero e al finocchio presi al bar. Sembra di essere in un ufficio pubblico molto disorganizzato, dove tutti urlano e si formano lunghe file.
Echi di Lubitsch, di Alexander Hall, tante volte sospesi tra cielo e terra. Ma è nel quotidiano che Luchetti trova la sua misura, una grazia nel racconto e nei movimenti di macchina. Cerca di dare un senso anche alle domande “inutili”, alle mattinate “perse” nel traffico per accompagnare i figli a scuola o in piscina.
Lo sguardo è quello di un genitore, di un marito, di un amante malinconico, che teneramente rimpiange il passato e gli attimi fuggenti. Luchetti descrive una felicità che nasce dai piccoli gesti, dalla capacità di accettare l’altro nonostante i suoi limiti. Intanto l’orologio non si ferma, le lancette proseguono la loro corsa.
Carpentieri controlla attento che non si sfori, mentre i flashback si mescolano con il presente, e si riscopre l’importanza degli affetti. Una moglie trascurata, una figlia adolescente che al “Ti voglio bene” risponde: “Grazie”, come Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. I tradimenti, i litigi, le riconciliazioni… E all’ultimo la consapevolezza di voler cambiare qualcosa, di voler saltare sulla macchina di Ritorno al futuro e salvare le persone che si amano.
Momenti di trascurabile felicità è una romantica burrasca, un Vento dell’Est delicato, che riflette su: “La luce del frigorifero si spegne veramente quando lo chiudiamo?” e sul senso dello stare al mondo.
Il film è tratto dai libri Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità di Francesco Piccolo.
Gian Luca Pisacane, Cinematografo.it, 8 Marzo 2019
Francesco Piccolo, coadiuvato da Daniele Luchetti, ha scelto di attingere a due suoi libricini di grande successo editoriale, "Momenti di trascurabile felicità" e "Momenti di trascurabile infelicità", e di dare loro una struttura narrativa del tutto assente dalla collezione di brevi notazioni che costituiva l'ossatura (disarticolata) dei libricini.
È un atto di coraggio che si rivela premiante, perché Piccolo ha saputo estrarre l'anima e lo spirito dalla parola scritta, costruendo una storia leggera e profonda, elegante nella forma e poetica nei contenuti.
C'è un deus ex machina virtuale dell'intera operazione, ed è quel Nanni Moretti di cui Piccolo è frequente sceneggiatore e Luchetti è stato allievo: la storia di Paolo riesce a farci sentire "una minoranza di due", ovvero unisce in spirito il protagonista ad ogni singolo spettatore disposto a riconoscersi nelle sue umane debolezze e nella sua visione particolare (ma umanamente universale). E la non-recitazione, nonché la dizione straniata e straniante, di Pif sono qui altrettanto efficaci della presenza di Moretti nei suoi film: una presenza stralunata e incongrua, soggetta a fissazioni e paranoie, sfuggente eppure sempre al centro della scena. In più il personaggio di Paolo (e l'interpretazione di Pif) aggiungono una nota di tenerezza e di bonaria indolenza "siciliana" che ben dispongono il pubblico all'accettazione del suo infantilismo dichiarato. Il resto del cast aggiunge freschezza (Thony nel ruolo delizioso della moglie, Angelica Alleruzzo e Francesco Giammanco in quelli dei figli) e solida professionalità (l'imprescindibile Renato Carpentieri, angelo custode di Paolo).
Ma è la struttura narrativa, coerente per tono e misura, a dare verità alla storia, ed è la regia agile ed esperta di Luchetti a contenerla in una forma filmica convincente da commedia francese, più americana (alla Lubitsch, per intenderci). Alcuni dettagli - il miraggio dell'aperitivo per le coppie con figli, il tormentone "Ma ce l'hai con me?" - fanno parte del tessuto quotidiano di molti, eppure non entrano quasi mai nella narrazione, perché contengono una dose di imbarazzo esistenziale che non siamo pronti a rivelare.
Il tema non è tanto quello della morte, ma quello dell'assurdità di vivere come se non si dovesse morire mai, ed è trattato con una originalità che ne attutisce lo spavento. Un paio di ricordi di Paolo - uno per tutti: l'episodio estivo - sono davvero ispirati, e traducono in immagini quella trascurabile felicità (e insieme infelicità) che caratterizza certi momenti pronti a ripresentarsi alla mente: magari non tutti i giorni, ma per sempre.
L'unica nota di demerito è il finale, che avverrebbe naturalmente "a fondo scala" (per non fare spoiler), e invece prosegue con un sermone inutile e una scenetta stucchevole, sopra una delle canzoni più melense di Adriano Celentano. Un peccato capitale, in conclusione ad una favola così ben raccontata.
Paola Casella, Mymovies.it, 8 marzo 2019
Amaro e dolce si accavallano in bocca. Risate e lacrime convivono nello stomaco. Mentre scriviamo questa recensione di Momenti di trascurabile felicità siamo ancora prede di sentimenti contrastanti. Tutta colpa, anzi merito, di un film agrodolce in cui, senza mai perdere di vista il tono leggiadro della commedia, il regista Daniele Luchetti ogni tanto affonda il colpo, rende più incisivo il suo racconto e ci mette davanti a una riflessione esistenziale dallo strano sapore. Accessibile senza mai essere superficiale e arguto nella scrittura, Momenti di trascurabile felicità ci porta nella vita di un uomo a cui resta un'ora e mezza da vivere per rimediare ai suoi errori e rimettere a posto le cose.
(…) La trama di Momenti di trascurabile felicità si apre con il sole e con il mare di Palermo, ma presto verremmo catapultati dentro un altro tipo di paradiso. Succede tutto a Paolo, un uomo che vive "col minimo rischio": tutto sotto controllo, solite abitudini, un lavoro, una moglie, due figli, il piacere tutto italiano di infrangere le regole per il gusto puerile di fregare il sistema. Peccato che il rischio calcolato del semaforo rosso in cui l'ha sempre fatta franca questa volta ha in serbo altri piani. Paolo viene investito e muore. Arrivato in una specie di straniante centro di smistamento per anime, al nostro viene data un'altra possibilità per un motivo esilarante (che non ci permetteremmo mai di rovinarvi). Paolo ha ancora un'ora e venti da vivere. Ed ecco arrivare la domanda perentoria e inevitabile: cosa faresti se ti rimanessero soltanto pochi minuti?
Momenti di trascurabile felicità non trascura affatto le cose importanti e si sofferma sul vissuto familiare di un personaggio non comune nel nostro cinema. Luchetti non è sempre indulgente col Paolo di Pif. Gli vuole bene ma non evita di metterne in luce il lato più detestabile, cinico e insopportabile. In questo senso la scelta di Pif è un'intuizione di casting vincente e assai sensata. Andando contro la percezione comune di Pierfrancesco Diliberto, sempre simpatico, affabile e sensibile, Momenti di trascurabile felicità si insinua nel lato oscuro dell'abitudine e del conformismo borghese nostrano, cercando di estirpare la sua semplice morale da questa fiaba surreale, ma mai così grottesca da essere respingente.
Il vecchio trucco della voce fuori campo funziona sempre. Paolo si racconta, si confida, si confessa. Luchetti ci fa entrare nella mente di Paolo e, nonostante la lenta presa di coscienza dei suoi errori, è impossibile non stare dalla sua parte. Se Momenti di trascurabile felicità riesce a guadagnarsi presto la nostra empatia è anche grazie all'alchimia spontanea tra Pif e Thony (scovata da Paolo Virzì ai tempi del suo folgorante esordio con Tutta la vita davanti), entrambi siculi, spontanei, semplici nel mettere in scena gli inevitabili compromessi di una lunga vita di coppia. Di Paolo e Agata avremmo voluto sapere di più, e anche il pubblico avrebbe voluto qualche minuto in più per sbirciare ancora nella casa tranquilla ma non più felice di queste anime gemelle eterozigote. Schietto, garbato ed equilibrato nonostante la sua natura destabilizzante, il film di Luchetti è pieno zeppo di riflessioni e pensieri che rimuginano sulla vita. Perché Paolo, consapevole di essere imperfetto, è alla perenne ricerca di un difetto nel mondo, negli altri, al di fuori di lui. Così (e qui si avverte la matrice letteraria dell'opera), ecco venire a galla acute, sagaci (e sociopatiche) idiosincrasie che ci riportano per un attimo dalle parti di Woody Allen e Nanni Moretti. Senza mai toccare quelle vette di feroce sarcasmo, Momenti di trascurabile felicità non è l'ennesima commedia innocua, ma una fiaba moderna che riflette sul valore del tempo con una storia preziosa e un intreccio che dura tanto quanto il film. Forse non ne usciremo felici, ma speriamo non venga trascurata.
Giuseppe Grossi, Movieplayer.it, 14 marzo 2109