Critica
In competizione alla 67esima edizione del Festival di Berlino, il regista giapponese Sabu incanta tutti con il suo film Mr Long, la scoperta di una normalità che può essere apprezzata da chi dal passato ha avuto soltanto violenza e dispiaceri. Narrando l’unione di un serial killer cinese con un bambino sveglio e intelligente, l’autore e sceneggiatore della pellicola ne indaga le angolazione più diverse, non circoscrivendo il proprio film ad un unico genere, ma tentando di riportare al cinema quello che realmente può essere la vita: dolorosa, irruenta, tenera, gentile.
Spiazzando dunque lo spettatore per il continuo tramutare di tono che Sabu sceglie di utilizzare ogni volta, Mr Long si dimostra un mobile a compartimenti stagni in cui al suo interno c’è sempre una differente maniera con cui parlare dei suoi personaggi e delle loro vicissitudini, in un fluttuare di atmosfera in atmosfera che viene attraversato in modo piuttosto naturale. Non è infatti mai forzato il passaggio che avviene tra le differenti voci del film, dal pianto drammatico di una madre distrutta, dalla fumosità delle strade notturne di una Taiwan mondana, dalle battute di una chiassosa famiglia che vuole intromettersi e aiutare. La regia di Sabu, splendida e ricercata e insieme mai sovraccarica o inutilmente estetica, si adatta come un camaleonte ad ogni situazione presentata, trovando sempre la soluzione più appropriata ai tipi di narrazione proposti. E così anche il calore o la freddezza della fotografia, il montaggio e i suoi respiri, e ancor di più la colonna sonora composta da Junichi Matsumoto, che di volta in volta sottolinea il genere che sta venendo rappresentato, senza risultare neanche per un secondo didascalica, ma solo necessaria a sostenere l’insieme della storia.
Sabu non teme di destreggiarsi con estro dietro la macchina da presa né tra le pagine della stesura del suo racconto, ottenendo l’incastro di risvolti che sanno arrivare inaspettati e donano un sconcerto positivo ai propri personaggi e al suo pubblico. L’autore ha così, nella sua fervida ideazione, l’opportunità di esplorare linguaggi solitamente slegati eppure, nella sua opera, visibilmente ben solidi tra loro, realizzando un prodotto che emoziona regalando una gamma contrastante di sensazioni.
Mr Long non risparmia niente: i sentimenti, il sangue, i combattimenti, le risate. E anche il romanticismo, la perdita, la dipendenza, l’affetto. Sabu dirige Chang Chen e Runyin Bai e li fa parlare con gli occhi, incatenati gli uni agli altri e poi ancora con gli spettatori, che ne colgono gli stati d’animo e i legami. Un film che ne contiene al suo interno altrettanti, ognuno con la propria storia e la propria ragion d’essere, per un cinema che comunica al mondo in tutte le sue intonazioni.
Martina Barone, Cinematographe.it, 25 luglio 2018
Pensando probabilmente al cinema di Takeshi Kitano, in particolare a 'L'estate di Kiikujiro', Sabu racconta il desiderio di una vita tranquilla da parte di un uomo risucchiato per anni in una insostenibile spirale di violenza. Tutti gli elementi del gangster movie lasciano dunque presto il posto a momenti di grande amore e tenerezza, e alle sanguinose scene di guerra tra bande criminali perfettamente coreografate seguono quelle più contemplative, che vedono Mr. Long affacciarsi a una esistenza diversa, e quelle comiche da slapstick comedy dal sapore chapliniano.
Alessandra De Luca, 'Avvenire', 14 febbraio 2017
La traiettoria di Mr Long è uno zigzag: Sabu – in concorso alla Berlinale 2017 – non ha voglia di una storia lineare, anzi decide di cambiare rotta ogni quarto d’ora, ma ciononostante riesce a costruire un mondo credibile e un film che riesce anche a commuovere.
In Mr Long, Sabu sembra un gatto: mentre sta raccontando una storia devia, si concentra su qualcos’altro, gli si dedica prima di deviare nuovamente, di aprire squarci, digressioni e parentesi che forse non collimano ma che comunque creano un mondo che ha una sua coerenza, una sua bellezza. È un modo di raccontare e costruire il film anche come tono di regia, che passa dell’umorismo al pathos estremo, dal noir al potere salvifico del cibo, che può spazientire lo spettatore, che è cosciente di poter essere rifiutato, ma che nasconde dentro una dolcezza, una malinconia tenera che poco a poco commuove.
E vi riesce anche di più visto che Sabu non ha interesse – come Kitano – nella perfezione, nella cura del gesto cinematografico, ma crede nell’istinto del cinema: valgano come prova le due sequenze violente a inizio e fine film (ma anche la scena madre finale), in cui non ci sono coreografie, non c’è la traiettoria della macchina da presa, o la sua immobilità, a dare forza artistica, c’è un abbozzo, uno schizzo, un’idea primordiale tratteggiata al volo ma che esprime bene ciò che Sabu vuole dare allo spettatore: l’immediatezza di un’emozione.
Emanuele Rauco, Cinematografo.it, 3 agosto 2018
Dopo aver fatto scendere sulla Terra un angelo impegnato a salvare una ragazza nel suo film precedente, interessando il mercato giapponese, questa volta Sabu torna a raccontare una fiaba avvalendosi della presenza di Chang Chen che il pubblico italiano ha potuto ammirare in The Assassin di Hou Hsiao-Hsien.
Le fiabe però bisogna saperle raccontare ed è necessario un pubblico disposto all'ascolto e memore della struttura delle fiabe stesse. Perché in una fiaba possiamo trovare la dolcezza, il riso, la paura, la morte e la vita nell'arco di un'unica narrazione. È proprio ciò che fa il regista giapponese rischiando di sconcertare qualche spettatore. Perché sa passare con assoluta disinvoltura dalla violenza più efferata alla Park chan-wook alla dolcezza del rapporto adulto-bambino che riporta alla memoria il Kitano di L'estate di Kikujiro. Con, in più, l'aggiunta di elementi da kitchen-movie visto che il killer si ricicla come raffinato cuoco di noodles. Questo, che è di fatto un pregio, non si colloca solo sul piano della sceneggiatura ma trova una fotografia e un montaggio totalmente aderenti e capaci di mutare stile visivo e ritmo da una situazione all'altra con una totale aderenza e con la conoscenza assoluta dei diversi generi.
Giancarlo Zappoli, Mymovies.it, 15 febbraio 2017